Campagne ridisegnate da cantieri edili, paesi che mutano la loro morfologia secolare nel giro di pochi anni, regioni un tempo agricole ora prevalentemente industriali. Oggi più di ieri il paesaggio esteriorizza il presente nella sua incontrollabile fenomenologia. Quello che era ieri, oggi sembra un altro mondo perché il cambiare incessante delle cose a ritmi vertiginosi muta la pelle di cui siamo fatti. I luoghi della nostra infanzia non sono più gli stessi, ci appaiono come altri territori appartenenti ad un mondo che stentiamo a volte a riconoscere come nostro. La tecnologia ci ha abituato a vedere invecchiare le cose precocemente: l'innovazione di ieri è già stata ampiamente sorpassata da nuove continue scoperte. Le persone stesse mutano con la medesima rapidità degli eventi. Noi non siamo più quello che eravamo solo qualche anno fa. Se l'effetto di un sistema basato sul cambiamento continuo ci disorienta e mina le nostre certezze - chi sono io, o gli altri che mi circondano, davanti a un mondo che sposta confini, culture, ricchezze come se fosse un giocatore di scacchi - , il vedere che i cambiamenti esterni non coincidono con i nostri mutamenti interiori provoca una defaillance nella storia di oggi. Di questa metamorfosi del corpo sociale si occupa Giorgia Beltrami, artista agli esordi ma già con una sua evidente maturità introspettiva. In linea con le ricerche della giovane arte internazionale, Beltrami non sceglie l'edonismo estetico o l'autoreferenzialità di una certa pratica artistica - la bella pittura, il virtuosismo tout court, il soggettivismo - , preferisce invece rivolgersi verso la materia dell'esistente (la vita) e relazionarsi con quelle problematiche esistenziali che toccano il pubblico sentire. Come ha scritto recentemente Achille Bonito Oliva a proposito dell'interesse riesploso nell'arte per le problematiche metropolitane: "Bisogna che l'arte inventi nuovi modelli a fronte di un progresso che sfugge alla storia ... L'artista si fa portatore di piccole utopie formalizzando attraverso le proprie opere ansietà collettive, emergenze sociali, a cui certamente non è possibile dare risposta ma su cui è necessario riflettere". In queste parole si rintraccia il senso dell'operato di Giorgia Beltrami, il suo raffigurare frammenti di una microrealtà - il suo paesaggio natale, i famigliari e i conoscenti, la loro storia - da utilizzare come modello di riflessione di un fenomeno generale su vasta scala che tocca chiunque. Dall'accostamento concettuale tra storia del passato e realtà del presente, l'artista crea una continuità simbolica tra due diverse identità umane, l'uomo nel passaggio da un universo contadino ad un mondo industriale e l'uomo dell'era post-moderna, soggiagato dalla virtualità del villaggio globale e della scienza che tutto rende possibile. I sorrisi e le pose delle donne degli anni del dopoguerra possiedono una struggente dolcezza di cui non rimane traccia nelle pose seducenti e aggressive delle top-model della carta stampata. L'antinomia tra l'apparente staticità del passato e l'accellerazione iperbolica del presente viene risolta dall'artista con la formula del dittico, che fa dialogare simultaneamente le due contrastanti visioni. Nella serie di dittici intitolata L'identità perduta l'artista ritrae con la grafite su grandi tavole di legno immagini di persone care fotografate anni addietro. Gli effetti di chiaroscuro, le luminescenze del legno, il disegno non finito conferiscono all'immagine una dimensione di atemporalità e di rimembranza caratteristiche della vecchia fotografia in bianco e nero. L'altra metà del dittico mostra il presente simboleggiato da lunghe recinzioni che delimitano aree industriali o nuovi quartieri in costruzione. L'icona della recinzione, ripetuta in diverse opere, ha il valore di una continuità culturale interrotta, di una frattura tra l'antico sistema di trasmissione generazionale della cultura e dei valori e il caotico flusso del progresso che ridisegna continuamente il volto del paesaggio e della società smaterializzando la cultura in tante identità provvisorie. Come pure il ritrarre il mondo infantile di quegli anni così diversi, così lontani, insieme ai simboli del paesaggio odierno ha il significato di un atto d'amore per tutto quello che non è andato ancora perduto e si spera di non perdere mai.